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Gli animali generalmente catturano l’interesse del grande pubblico più delle piante, anche se probabilmente tra invertebrati come Molluschi e Coleotteri e piante con fiori graziosi potrebbero ‘vincere’ le seconde. Dopo aver incontrato, nella puntata precedente, uno degli animali più caratteristici della Presolana, passiamo quindi a conoscerne la più famosa ‘star’ vegetale.

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TRATTANDOSI DI UNA PIANTA RARISSIMA E PROTETTA

NE E’ OVVIAMENTE VIETATA LA RACCOLTA

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Come anticipato nella prima puntata, ben due degli endemismi orobici botanici ad oggi noti portano il nome della Regina delle Orobie: si tratta di una felce, l’Asplenium presolanense, e di una sassifraga, la Saxifraga presolanensis. Un’ulteriore specie, Moehringia dielsiana, è anch’essa circoscritta all’area della Presolana, pur senza portarne il nome (e curiosamente è molto più strettamente legata alla Presolana rispetto alla sassifraga, almeno rispetto alle attuali conoscenze).

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Il Rifugio Albani e le sottostanti baracche dei minatori visti dal Colle della Guaita.

Qualche anno dopo l’Adami, precisamente nel 1894, anche Adolf Engler si ritrovava a percorrere i sentieri lungo le pendici della Presolana. Uguali sentieri, interessi diversi: Engler era infatti un botanico dell’Università di Berlino alla ricerca di sassifraghe. E la Presolana aveva in serbo una interessante scoperta anche per lui: sulle scoscese ed ombrose rupi a picco sul Dezzo, si imbatté infatti in una ‘strana’ sassifraga che molto cautamente battezzò Saxifraga presolanensis. In realtà, infatti, Engler non era sicurissimo che si trattasse di una buona specie, e pensava potesse anche essere un ibrido tra Saxifraga androsacea e Saxifraga sedoides. Comunque, la nuova specie venne presentata alla Scienza nella monografia sulle Sassifragacee di Engler e Irmscher [1].

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L’immagine che accompagna la descrizione della specie in [1].

Le vicissitudini sulla scoperta e le successive ricerche della specie sono ben raccontate in [2] e [3]. Qui è sufficiente ricordare come, dopo la distruzione degli esemplari originali dell’erbario di Engler ad opera dei bombardamenti su Berlino nel 1943, nessuno avesse più idea di come effettivamente fosse fatta ‘sta sassifraga, e di quanto la si potesse considerare specie valida; molti cominciarono a dire che probabilmente era una ‘specie fantasma’.

Nel dopoguerra, quindi, ricominciarono le esplorazioni sulle Prealpi orobiche, e non senza sorprese. È interessante osservare infatti come diversi botanici austriaci e tedeschi, proprio cercando questa sassifraga, ‘inciamparono’ in alcune specie che si rivelarono essere a loro volta degli endemismi fino ad allora sconosciuti: Mattfeld nel 1925 con Moehringia dielsiana, strettamente endemica della Presolana; Degen, che nel 1904 aveva trovato una Moehringia ‘strana’, a seguito della scoperta di Mattfeld la studiò meglio ed istituì la nuova specie Moehringia insubrica; e infine Merxmüller e Gutermann – scesi nella bergamasca per Linaria tonzigii – nel 1956 con Moehringia markgrafii. E proprio questi due, cercando Linaria tonzigii sul versante nord dell’Arera, dopo più di sessant’anni si imbatterono in Saxifraga presolanensis.

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Saxifraga presolanensis, illustrazione di L. Ferlan in [2].

Alcune belle foto della specie si possono vedere qui, qui e qui.

L’entusiasmo coinvolse subito altri botanici tedeschi ed italiani, anche perchè il nuovo ritrovamento non era avvenuto sulla Presolana ma su un altro gruppo montuoso, e in pochi anni il numero di stazioni note aumentò sensibilmente, consentendo di confermare che la specie era valida, e fortunatamente era ancora presente e con una distribuzione un po’ meno ristretta di quella che si pensava inizialmente – sui principali massicci carbonatici dal Pizzo Arera fino alla Concarena.

L’areale è stato ulteriormente ampliato, anche se relativamente di poco (si tratta comunque di uno stenoendemismo), da diversi ritrovamenti successivi [4][5].

Saxifraga presolanensis è una specie tipica di situazioni fredde, ombreggiate ed umide. La si ritrova per lo più su pareti molto ripide, spesso verticali, in fenditure e nicchie nelle rocce calcaree o sotto volte rocciose umide che la proteggano dal sole, spesso vicino a punti in cui la neve permane a lungo, contribuendo a mantenere un certo tenore di umidità. Fiorisce in luglio-agosto.

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Le spaccature ombreggiate tra le rupi calcaree sono l’habitat di Saxifraga presolanensis.

Volendo restare sulla Presolana, la si può osservare – generalmente in posizioni ‘scomode’ – nei dintorni del solito Rifugio Albani e di diverse cime secondarie della Presolana, come il Colle della Guaita o i picchi e gli sfasciumi sotto alle Quattro Matte.

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Gli inquietanti pinnacoli denominati “le Quattro Matte”, che leggenda vuole essere quattro arroganti sorelle tramutate in pietra come punizione per essersi prese gioco dei vendicativi folletti della Val di Scalve.

Ricordo infine che la pianta è protetta, ed è pertanto vietatissimo raccoglierla. Secondo la IUCN è a rischio di estinzione, sostanzialmente per l’areale estremamente ristretto, e la principale minaccia è rappresentata da attività ricreative e turismo nelle poche località in cui è presente [6].


*** Note ***

[1] A. Engler, 1916, Saxifraga presolanensis; in: A. Engler & E. Irmscher, Saxifragaxeae: Saxifraga, Das Pflanzenreich, Leipzig, IV, 117: 302-303.

[2] G. Arietti & L. Fenaroli, 1960, Cronologia dei reperti e posizione sistematica della Saxifraga presolanensis Engler, endemismo orobico, Edizioni Insubriche, Bergamo, 28 pp.

[3] R. Ferlinghetti & E. Bassanelli, 2011, Saxifraga presolanensis – la regina dei fiori di roccia, Parco delle Orobie Bergamasche, 36 pp.

[4] A. Crescini, F. Fenaroli & F. Tagliaferri, 1983, Segnalazioni floristiche bresciane, Natura Bresciana – Annali del Museo Civico di Scienze Naturali di Brescia 20: 93-104.

[5] G. Gelmi, 1988, Contributo alla flora rupicola del Pizzo della Presolana (Prealpi Lombarde), Rivista del Museo Civico di Scienze Naturali “E. Caffi” di Bergamo 13: 213-226.

[6] F. Mangili & G. Rinaldi, 2013, Saxifraga presolanensis, The IUCN Red List of Threatened Species, versione 2015.1.


Per saperne di più sui fiori delle Prealpi Orobie:

Fiori della Val di Scalve

Gruppo Flora Alpina Bergmasca – F.A.B.

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Come si diceva nella puntata precedente, i monti di questa area geografica sono piuttosto ricchi di fossili Triassici, tra i quali spiccano in particolare certi molluschi. Ma quelli fossili non sono gli unici molluschi interessanti sui massicci calcarei lombardi. Infatti, le Prealpi Lombarde ospitano diverse chiocciole terrestri molto interessanti dal punto di vista biogeografico, in quanto endemiche di aree piuttosto ristrette (anche del concetto di endemismo e della diffusione delle specie endemiche nell’area orobica si era parlato nella puntata precedente).

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TRATTANDOSI DI UNA SPECIE RARISSIMA E PROTETTA

E’ OVVIAMENTE VIETATA LA RACCOLTA DI ESEMPLARI VIVI

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Tre visuali di una conchiglia di Cochlostoma canestrinii.

Nell’agosto del 1875, il capitano Giovanni Battista Adami, grande appassionato di geologia e malacologia (la disciplina che studia i Molluschi), percorreva tra la nebbia che spesso sorprende gli escursionisti alle alte quote i sassosi sentieri tra gli sfasciumi calcarei alle pendici dei torrioni della Presolana. Nonostante fosse anche un valente alpinista, il suo interesse era prettamente scientifico; la vetta di quella montagna infatti era già stata conquistata cinque anni prima da Antonio Curò, Federico Frizzoni e Carlo Medici.

Quello che Adami andava cercando erano conchiglie, o più precisamente molluschi terrestri.

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Cochlostoma canestrinii in un anfratto roccioso lungo un canalone ombreggiato.

Ripercorrendo le orme dell’Adami alla ricerca di chiocciole, ma anche di rarità botaniche, ho ritenuto che la passeggiata che porta da Colere al Rifugio Albani (1939 m di quota) fosse il percorso migliore per immergersi nell’atmosfera presolanense, ricca di storia e leggende quanto di bellezze naturalistiche.

L’itinerario, che consiglio a tutti, non solamente per le chicche naturalistiche ma anche per la bellezza dei paesaggi, parte da Colere lungo il segnavia 402 e passa sotto alle Quattro Matte e al Colle della Guaita prima di fiancheggiare il Lago di Polzone, al cospetto dell’austera parete nord della Presolana, e raggiungere finalmente il rifugio. Per la discesa si può poi seguire il segnavia 403, per un sentiero più breve (ma un po’ più ripido), chiudendo il percoso ad anello con l’arrivo a Colere.

Nei pressi dell’Albani si trova il “mare in burrasca”, la più interessante area carsica delle Orobie, nota anche per i fossili triassici.

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Il Rifugio Albani, che svetta in cima ad una potente successione di calcari triassici, visto da Colere.

Ma torniamo al nostro capitano Adami, che abbiamo lasciato a razzolare tra le pietraie della Presolana in una giornata nebbiosa. Cercando nicchi (conchiglie) di Gasteropodi, nei dintorni della vetta orientale, si imbatté in una specie che non aveva mai visto prima: era una piccola chiocciola dalla conchiglia allungata, simile ad alcune specie appartenenti a quello che all’epoca era il genere Pomatias [da ormai lungo tempo il genere Cochlostoma è stato separato da Pomatias], ma molto più grande rispetto a tutte le altre entità simili allora note.

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Nonostante misuri solo un centimetro e mezzo, Cochlostoma canestrinii appare effettivamente colossale in confronto all’affine Cochlostoma septemspirale.

Si trattava in effetti di una specie nuova, che lo scopritore battezzò Pomatias canestrinii, dedicandola così a Giovanni Canestrini, altro noto naturalista trentino dell’epoca e fondatore della Società Veneto-Trentina di Scienze Naturali. “L’atto battesimale, redatto in mezzo a fittissima nebbia, fu deposto in una bottiglia nell’obelisco di pietre che feci erigere sull’angusto spazio di quella vetta“, si premurò di annotare Adami nella pubblicazione in cui descriveva la specie [1]; la vetta in questione è per l’appunto quella della Presolana orientale, presso la quale il capitano aveva osservato anche Chilostoma cingulatum hermesianum.

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Due Chilostoma cingulatum hermesianum, piuttosto comuni sui massicci carbonatici di questa zona delle Orobie.

In questi centoquarant’anni, la revisione della tassonomia dei Gasteropodi – come quella di quasi tutti gli altri gruppi dei viventi del resto – ha portato a diverse modifiche nomenclaturali.

Ad oggi, la specie, che appartiene alla famiglia Cochlostomatidae, dopo essere stata chiamata Cochlostoma canestrinii per quasi un secolo è stata recentissimamente rinominata Rhabdotakra canestrinii [2]. In questo post ho mantenuto il nome ‘tradizionale’ per facilitare i riferimenti a informazioni reperibili in circolazione, ma sarà bene abituarsi a chiamarla Rhabdotakra.

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La descrizione formale della specie come “Pomatias canestrinii” [1].

I luoghi di presenza tipici della specie, strettamente endemica del massiccio della Presolana, sono gli affioramenti rocciosi calcarei in alta quota, anche se dalla seconda metà del Novecento, con l’incremento di ricerche mirate, esemplari di questa chiocciola sono stati trovati anche a quote più basse, a monte proprio del paese di Colere [3].

Personalmente l’ho osservata tra i 1200 e i 1600 m di quota.

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In queste pietraie trovano il loro habitat diverse specie di Gasteropodi.

Ricordo infine che la specie è protetta ed inserita nella Lista Rossa Europea dei Molluschi. Secondo la IUCN è da considerare vulnerabile, sostanzialmente per l’areale estremamente ristretto, ma non sembra essere pesantemente minacciata secondo le attuali conoscenze [4].

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Con un po’ di fortuna, tra i detriti nelle pietraie si può rinvenire qualche conchiglia di questa specie.

Ringrazio Sandro Hallgass per le informazioni sugli aggiornamenti nomenclaturali che hanno recentemente interessato questa bella specie.


*** Note ***

[1] G. B. Adami, 1876, Molluschi terrestri e fluviatili viventi nella Valle dell’Oglio ossia nelle valli Camonica, di Scalve e Borlezza spettanti alle provincie di Brescia e Bergamo, Atti della Società Veneto-Trentina di Scienze Naturali 5 (1): 7-95.

[2] E. Zallot, D. Groenenberg, W. De Mattia, Z. Feher & E. Gittenberger, 2015, Genera, subgenera and species of the Cochlostomatidae (Gastropoda, Caenogastropoda, Cochlostomatidae), Basteria 78 (4/6): 63-88.

[3] E. Bassanelli, 2011, Cochlostoma canestrinii – il mollusco della Presolana, Parco delle Orobie Bergamasche, 36 pp.

[4] Z. Feher, 2013, Cochlostoma canestrinii, The IUCN Red List of Threatened Species, versione 2015.1.

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Conosciuta anche come “Regina delle Orobie”, la Presolana, il cui picco più elevato raggiunge i 2521 m, è un imponente massiccio carbonatico che ingombra il confine tra la Val Seriana e la Val di Scalve, nella parte orientale della provincia di Bergamo, elevandosi abbastanza dolcemente dal versante seriano per poi precipitare sul versante scalvino “quasi a picco, a formare la spaventevole stretta per la quale le acque del Dezzo volgono all’Oglio” [1].

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La Presolana, con la caratteristica sagoma da gigante addormentato visibile dall’Altopiano di Borno.

Mentre diversi monti dell’alta Val di Scalve sono noti per i loro importanti giacimenti minerari ferrosi, sulla Presolana l’attività estrattiva ha riguardato principalmente minerali come fluorite, galena e blenda; ma soprattutto, i calcari Triassici che costituiscono la Presolana e altre montagne di questa fetta delle Orobie (come il Pizzo Camino o la Concarena, posti poco più a nord e afferenti alla Val Camonica) sono ricchissimi di fossili: un’ampia serie di coralli, crinoidi, conodonti, bivalvi, gasteropodi e magnifiche ammoniti sono stati trovati in queste zone a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, e numerose sono le specie trovate per la prima volta nella storia della paleontologia proprio su questi monti. Particolarmente nota tra le aree fossilifere della zona è quella in località “mare in burrasca”, un sito in cui è altresì molto evidente la presenza di quei fenomeni carsici che spesso interessano le rocce carbonatiche.

Ma la pacchia non finisce qui. Se la geologia e la paleontologia non bastassero a solleticare l’interesse dei naturalisti, sappiate che le Prealpi Orobiche sono ricchissime anche di particolarità botaniche e zoologiche: sono infatti caratterizzate dalla presenza di numerosi endemismi.

Si definisce “endemismo” la presenza di una specie (che viene così chiamata “specie endemica” o “endemita”) in un’area piuttosto circoscritta, come ad esempio un gruppo montuoso, il bacino di un fiume, una caverna o un sistema di caverne, un’isola o un arcipelago di isole. Si manifesta in genere in ambienti in cui è impedito lo scambio di individui tra diverse popolazioni della stessa specie, e fra breve vedremo come e perché.

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La parete nord della Presolana vista dal Rifugio Albani.

L’area insubrica – come viene definita la zona che va grossomodo dal Lago di Como al Lago di Garda – è particolarmente ricca di endemismi sia tra le specie vegetali sia tra quelle animali. Focalizzandoci in particolare sulla sola area orobica, possiamo constatare la presenza di ben 39 piante endemiche [2]; la sola Presolana può vantare due specie esclusive di piante, la Saxifraga presolanensis e la Moehringia dielsiana, e una di felce, l’Asplenium presolanense, tre stenoendemismi (lo stenoendemismo è un endemismo limitato ad un’area molto ma molto ristretta) che, in tutto il mondo, crescono esclusivamente nella zona della Presolana (la sassifraga è stata trovata, in modo puntiforme, anche su Pizzo Camino, Concarena e Pizzo Arera, ma la parte principale della popolazione è comunque concentrata per l’appunto sulla Presolana; in sostanza, ha lo stesso areale di Galium montis-arerae e Moehringia concarenae, i cui attributi specifici omaggiano i nomi dei massicci ai due capi dell’areale).

Che dire poi delle specie animali. Coleotteri e Gasteropodi sono tra gli invertebrati più rappresentati tra gli endemiti insubrici; solo tra i Carabidi si contano una cinquantina di specie endemiche, e 25 tra i Curculionidi. Addirittura interi generi, come Allegrettia e Boldoriella, risultano endemici di questa zona; si tratta, negli ultimi due casi, di animali adattati alla vita in caverna. Sono presenti anche alcuni ragni endemici (Dysdera baratellii e Troglohyphantes regalini), e tra i Vertebrati numerosi pesci e alcuni anfibi (Rana latastei e Pelobates fuscus insubricus). Zoomando di nuovo sulle Orobie, e sulla Presolana in particolare, abbiamo il Carabide Boldoriella serianensis, il Byrride Byrrhus focarilei e il Curculionide Othiorhynchus diottii.

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La “Campanula dell’Arciduca” (Campanula raineri), endemica delle Orobie orientali.

Perchè esistono queste specie endemiche, e perchè proprio qui se ne trovano così tante? Nel caso insubrico in particolare, è tutto dovuto alle glaciazioni. Durante le grandi espansioni dei ghiacciai del Quaternario, alcune zone elevate rimasero emergenti dalla coltre glaciale e servirono da rifugio alle specie animali e vegetali che si spostavano rifuggendo il ghiaccio. Queste zone di rifugio (dette “nunatakker” in gergo tecnico), mentre da un lato conservavano la diversità di specie, dall’altro, a causa dell’isolamento duraturo nel tempo, contribuivano al loro differenziamento genetico dalle altre popolazioni delle stesse specie rifugiatesi in altri nunatakker, fino al punto che queste differenze genetiche portarono alla speciazione, cioè all’origine di nuove specie diverse tra loro a partire da un antenato comune. Quando poi i ghiacciai si ritirarono, la maggior parte di queste nuove specie si espansero di poco, rimanendo ad occupare aree piuttosto ristrette. L’area insubrica era evidentemente ricca di nunatakker, visto l’elevato numero di endemismi ancora oggi presenti.

Il meccanismo di base è paragonabile a quello che determina la diversificazione delle specie negli ambienti di grotta o sulle isole (pensiamo, ad esempio, ai Fringuelli di Darwin).

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La “Primula Lombarda” (Primula glaucescens), altro endemita insubrico.

L’applicabilità del concetto di endemismo è relativamente elastica. Certi endemismi insubrici si trovano su tutte le Prealpi lombarde e sforano fino sui monti carbonatici del Trentino, mentre altri, pur non arrivando ad essere puntiformi come gli stenoendemismi veri e propri, hanno una distribuzione più ristretta. Ma si può dire ad esempio che una specie sia endemica di una intera catena montuosa, o di un bacino idrico (es. la libellula Oxygastra curtisii è endemica del bacino del Mediterraneo, che non è esattamente quello che verrebbe da definire un’area ristretta); in certi casi la definizione può essere stiracchiata fino ad includere un intero continente (es. i Monotremi – il gruppo di mammiferi che include l’Ornitorinco e le Echidne – sono endemici dell’Oceania). In genere, comunque, si preferisce utilizzare il termine solo per specie con areale veramente limitato.

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Ancora un endemita insubrico vegetale: la “Viola di Duby” (Viola dubyana).

Sono sempre andato in vacanza in un vero paradiso dei naturalisti, nella zona tra la Presolana e il Pizzo Camino, ma solamente negli ultimi anni me ne sono reso conto appieno. Quindi non mi restava altro da fare che esplorare quello di questa zona che non avevo ancora visto, che è veramente tanto; e anche riesplorare con un approccio nuovo quelle piccoli parti che già conoscevo.

Il modo migliore per partire alla scoperta naturalistica di quest’area così ricca di particolarità è raggiungere il Rifugio Albani, posto sotto la bastionata settentrionale della Presolana a 1939 m di quota, nel regno del calcare. Dall’Albani, se si sa come cercarle, si possono raggiungere tutte le chicche naturalistiche tipiche del posto: le località tipiche di Saxifraga presolanensis, Moehringia dielsiana e Asplenium presolanense e quelle di Cochlostoma canestrinii, Byrrhus focarilei e Othiorhynchus diottii, nonché le vecchie miniere dismesse di fluorite e le aree carsiche e fossilifere del “mare in burrasca”. E ovviamente sono osservabili anche la flora e la fauna tipiche delle Alpi in generale. Ce n’è per tutti i gusti, in pratica!

Nelle prossime puntate, racconterò nel dettaglio alcune particolarità orobiche che ho avuto la fortuna di poter osservare recentemente. Stay tuned!

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Cartellone didattico del Parco delle Orobie Bergamasche in cui vengono presentate le specie animali endemiche più pregiate dell’area intorno al Rifugio Albani. È bello vedere come si siano curati di sottolineare l’importanza di animali che probabilmente sarebbero indifferenti ai più, anche se nelle didascalie ci sono diverse imprecisioni (es. alla “Elix frigida” – che comunque andrebbe scritto “Helix” – è stato cambiato il nome in “Chilostoma cingulatum” da un bel pezzo e “Cochlostoma” è scritto sbagliato).


*** Note ***

[1] Così Giovanni Battista Adami (1838-1887) descriveva la Presolana; ricordiamoci di lui, lo incontreremo di nuovo in una delle prossime puntate.

[2] Piante endemiche della zona insubrica presenti sulle Prealpi Orobiche: Alchemilla bonae, Alchemila federiciana, Alchemilla martinii, Allium insubricum, Aquilegia thalictrifolia, Asplenium presolanense, Campanula carnica, Campanula elatinoides, Campanula raineri, Cytisus emeriflorus, Daphne petraea, Daphne reichstenii, Erucastrum nasturtiifolium ssp benacense, Euphorbia variabilis, Galium montis-arerae, Gentiana brentae, Knautia baldensis, Knautia velutina, Laserpitium nitidum, Linaria tonzigii, Minuartia grignensis, Moehringia bavarica ssp insubrica, Moehringia concarenae, Moehringia dielsiana, Moehringia markgrafii, Primula albenensis, Primula glaucescens, Primula spectabilis, Ranunculus bilobus, Sanguisorba dodecandra, Saxifraga arachnoidea, Saxifraga presolanensis, Saxifraga tombeanensis, Saxifraga vandellii, Scabiosa vestina, Silene elisabethae, Telekia speciosissima, Viola comollia, Viola culminis, Viola dubyana.


Puntata 2: la Chiocciola della Presolana

Puntata 3: la Sassifraga della Presolana

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La prima passeggiata ‘alla scoperta della natura intorno a Tromello’, organizzata su iniziativa della biblioteca comunale “R. Burchi” e che mi ha visto per la prima volta in veste di guida naturalistica sul campo, si è svolta ieri mattina lungo il sentiero che costeggia la riva destra del Terdoppio a sud dell’abitato. Il cielo piuttosto coperto, che all’inizio sembrava preoccupante e foriero di pioggia, ha avuto in realtà la sua utilità, evitandoci di arrostire sotto il sole di fine maggio.

Realizzato una decina di anni fa come percorso nel verde a breve distanza dal paese, con tanto di siepi di biancospino e rosa canina, panchine e spazi barbecue, negli ultimi anni il sentiero è stato un po’ abbandonato a se’ stesso, tanto che quest’anno non è stato nemmeno sfalciato; l’erba alta, nonostante le perplessità di alcuni, non ha comunque ostacolato la passeggiata, anzi, si è rivelata una preziosa alleata per la buona riuscita dell’evento, ospitando molti artropodi che sono stati oggetto di osservazioni ravvicinate.

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Il gruppo di escursionisti (foto: E. Gheza)

Dopo un’introduzione necessaria ad inquadrare la nostra situazione nel panorama europeo delle politiche ambientali (sostanzialmente un pistolotto sulla Direttiva Habitat[1]), si parte finalmente alla scoperta del sentiero con occhi nuovi! Una breve siepe di rovi ancora fioriti è l’occasione per parlare di api e sirfidi, insetti impollinatori fondamentali per l’ecosistema; i prati incolti che all’apparenza sembrano uno sgraziato insieme di erbacce troppo alte rivelano un’enorme importanza per insetti come le farfalle, e non solo; le ragnatele sospese tra la vegetazione lungo il sentiero permettono di osservare come i ragni non siano dei mostri terrificanti ma semplicemente degli animali interessanti, talvolta addirittura utili, che occupano il loro giusto posto nell’ecosistema; le fasce vegetate sulle rive dei corsi d’acqua, nascondiglio ideale per uccelli e anfibi, danno l’occasione per accennare alla rilevanza delle zone umide della Lomellina per questi animali.

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La Nitticora (Nycticorax nycticorax), uno degli aironi più facilmente osservabili nelle risaie tromellesi (foto: G. Gheza)

Dall’altro lato, se la passeggiata aveva come scopo primario quello di sottolineare come anche in un ambiente così impattato dall’uomo come la Pianura Padana possano esistere situazioni, anche ristrette, in cui la natura è osservabile se si ha la cognizione di dove andarla a cercare, un altro argomento molto importante che è stato sottolineato più volte riguarda il danno delle specie esotiche invasive agli ecosistemi nostrani. Abbiamo così occasione di scoprire che i musetti simpatici della nutria e dello scoiattolo grigio celano problematiche gravi, e che perfino lungo il Terdoppio sono già arrivate delle piante esotiche dannose per la vegetazione autoctona. Non è il caso di dilungarsi in questa sede, ma futuri post del blog affronteranno meglio l’argomento.

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La nutria (Myocastor coypus), una delle specie esotiche dannose presenti anche nelle campagne tromellesi (foto: G. Gheza)

In tutto questo, gli amici naturalisti che hanno accettato di coadiuvarmi in questa impresa non se ne stanno con le mani in mano, e acchiappano di volta in volta insetti e ragni vari che, temporaneamente intrappolati in scatoline di plastica (e poi ovviamente rilasciati al termine della ‘spiegazione’), vengono mostrati ai partecipanti. È così possibile osservare più da vicino alcuni ragni con ovisacco (il ‘sacco’ di tela con il quale alcune specie si portano in giro le uova), delle coloratissime coccinelle e lo sfavillante coleottero Oedemera nobilis.

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Pisaura mirabilis, femmina con ovisacco (foto: F. Grossi)

Le farfalle sono troppo sfuggenti, ma riusciamo a mostrare alcune libellule, piuttosto pigre visto il cielo coperto (sono molto più attive in pieno sole): Calopteryx splendens, Platycnemis pennipes e, a sorpresa, anche una Somatochlora metallica, solitamente volatrice instancabile, si lascia ammirare posata.

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Somatochlora metallica, femmina (foto: G. Gheza)

Ogni tanto nelle risaie si riesce ad individuare qualche airone, ma per lo più gli uccelli vengono messi in fuga già a distanza dall’inevitabile cicaleccio del gruppo; è comunque una situazione positiva, in quanto favorisce l’attenzione verso animali meno appariscenti e solitamente non considerati dai più – gli invertebrati, per l’appunto.

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Oedemera nobilis, maschio (foto: G. Gheza)

Un grande ringraziamento va a tutti gli amici che mi hanno aiutato ad acchiappare bestioline e che hanno impreziosito la mattinata con i loro interventi specialistici: Alida (che ha colmato alcune mie lacune entomologiche), Cecilia (che ci ha raccontato di come gli invertebrati dei corsi d’acqua siano ottimi indicatori di qualità ambientale), Alan (che ci ha fornito preziosi consigli per l’osservazione delle lucertole), Francesca, Giacomo, Ester; a Davide, che mi ha proposto di lanciarmi in questa esperienza; e a tutti i partecipanti, che con il loro interesse – che mi ha fatto veramente piacere – hanno in qualche modo aumentato ulteriormente la mia voglia di buttarmi nel difficile percorso della divulgazione.

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Una piccola nota campanilistica: il nostro paesello è citato sulla più nota guida da campo europea delle Libellule [2] come uno dei luoghi migliori per osservarle in Italia!


*** Note ***

[1] La direttiva n. 43 del 1992 della Comunità Europea, nota anche come “Direttiva Habitat”, dà istruzioni agli Stati membri per quanto concerne la protezione dell’ambiente, in particolare degli habitat naturali ‘di interesse comunitario’ e delle specie vegetali e animali di particolare interesse conservazionistico; in Lombardia, le specie tutelate dalla Direttiva Habitat sono protette dalla Legge Regionale n. 10 del 31 marzo 2008 “disposizioni per la tutela e la conservazione della piccola fauna, della flora e della vegetazione spontanea”.

[2] K.-D. B. Dijkstra & R. Lewington, 2006. Field guide to the Dragonflies of Britain and Europe. British Wildlife Publishing. 320 pp.

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