A tutti sarà capitato di sentir dire “cresciuto/a nella bambagia” per indicare una persona viziata, cresciuta in un ambiente iperprotetto, comodo, agiato, addirittura lussuoso. Ma vi siete mai chiesti invece la bambagia dove cresca? O, prima ancora, che cosa sia la bambagia?
“Bambagia”
Non è insolito che l’Uomo peschi i suoi modi di dire direttamente dalla Natura, e anche stavolta sembrerebbe questo il caso. In realtà non è esattamente così: la Treccani ci spiega che la bambagia era innanzitutto il “cascame della filatura del cotone, utilizzato soprattutto in ambito medico ed estetico per strofinare sostanze liquide o viscose”, e quindi, per transizione, indicava anche semplicemente il cotone, l’ovatta; mentre, solo secondariamente, come ‘bambagia selvatica’, è il “nome popolare di varie piante della famiglia asteracee, coperte di peli bianchi”.
“Bambagia” è per l’appunto il nome che in italiano si dà ad un genere di piante della famiglia delle Asteraceae (alias Compositae). Di fatto, anche altre piante appartenenti sempre alle Asteracee, come l’ambrenti (Helichrysum italicum) o il piede di gatto (Antennaria dioica), vengono popolarmente chiamate ‘bambagia’ – d’altronde, si sa, la parlata popolare non è precisa come la nomenclatura scientifica, e non è infrequente che lo stesso nome popolare indichi specie completamente diverse a seconda dell’area geografica – tuttavia, sul ‘Pignatti’ sono denominate ‘bambagia’ con precisione le piante del genere Filago…o per lo meno di quello che una volta era il genere Filago, che nel corso dei decenni è stato smembrato in più generi tutti accomunati dalla surreale caratteristica di essere stati battezzati con rocamboleschi anagrammi del nome generico originale: Oglifa, Logfia, Gifola, ecc.
Campioni d’erbario di Filago.
Quel che mi ha fatto sorridere nello scoprire il nome popolare delle Filago è il contrasto ossimorico tra l’accezione popolare del termine e il carattere pioniero, rustico e tenace delle piante stesse. Le Filago sono piantine eccezionalmente resistenti, che colonizzano con decisione ambienti inospitali per la maggior parte delle altre piante: tipicamente suoli aridi, oligotrofici e minerali, molto poveri quindi di acqua, nutrienti e materia organica. Condizioni difficili per le piante, che per sopravvivere necessitano proprio di acqua e sostanze nutrienti che vengono assorbite direttamente dal suolo. Condizioni però alle quali le Filago si sono perfettamente adattate: sono infatti tra le specie più caratteristiche di alcuni tipi di prati aridi delle zone temperate, tra i quali anche quelli oggetto del Life Drylands.
Di certo le aiuta il fatto di essere terofite, cioè piante annuali o bienni che svernano sotto forma di seme. Le terofite sono le tipiche colonizzatrici di situazioni pioniere, in cui il suolo è poco evoluto, e la loro strategia di dispersione e svernamento si rivela vincente finché le condizioni si mantengono pioniere; in questo sono anche aiutate da fenomeni di disturbo del suolo, anche solo sporadici, che lo mantengano in una condizione appunto pioniera.
L’aspetto esteriore delle Filago ha ben poco a che vedere con quello di altre Asteracee ben più note ed apprezzate dal grande pubblico. Non sono, per intenderci, le tipiche ‘margheritone’ con petali vistosi e colorati, tutto il contrario, sono delle piantine piccole e piuttosto dimesse, caratterizzate da tinte tenui, scialbe, dovute alla fitta peluria chiara che ne ricopre le foglie e i fusti, diluendone il colore.
Hanno però sicuramente un loro fascino, che parte dalla curiosa forma ‘a candelabro’ che hanno alcune di queste specie, ed arriva fino alla geometria quasi ipnotica dei glomeruli in cui si addensano i capolini florali, che sembrano quasi dei globi dorati sospesi sulle estremità dei fusti: delle perfette fiammelle in cima ai rami del candelabro.
Un glomerulo di capolini di Filago lutescens visto allo stereomicroscopio: si notano bene le reste rossastre, che le hanno valso i nomi popolari attribuitile in diverse nazioni europee.
Nelle praterie aride silicicole della Pianura Padana occidentale, dove ho lavorato negli ultimi dieci anni, si possono incontrare fino a quattro specie di ‘bambagia selvatica’.
La specie più diffusa è probabilmente Filago germanica (alias Filago vulgaris; ‘bambagia comune’): compare spesso nei prati aridi e ai margini dei sentieri che li costeggiano, ma la si trova molto spesso anche negli incolti, o perfino in mezzo alle strade sterrate, a patto che il fondo sia almeno un po’ sabbioso, e non vi sia eccessiva la presenza di sostanze azotate.
Molto simile – è un vero e proprio dubbio amletico tra questa e la precedente, quando ci si trova a dover determinare in campo un campione incontrato in un sito in cui entrambe sono presenti – è Filago lutescens (‘bambagia rossastra’), che è invece molto più rara e limitata ad ambienti con buona naturalità. In tanti anni di peregrinazioni in questi ambienti, mi è capitato di trovarla solamente in un paio di siti.
Esemplari di Filago germanica (a sinistra) e Filago lutescens (a destra). Di botto, sembrano identici. I caratteri di campo più evidenti sono la forma delle foglie (più larghe verso la base in germanica, verso l’apice in lutescens), il loro portamento (piuttosto appressate al fusto in germanica, ben distaccate in lutescens) e, un po’ più difficoltoso da distinguere, il colore dei peli (bianco-argentati in germanica, giallastri in lutescens). Ovviamente ci sono anche altri caratteri, che vanno controllati in laboratorio.
Sugli esemplari essiccati la differenza cromatica è un po’ più evidente, soprattutto se li si osserva insieme: la peluria bianco-argentata della germanica contrasta piuttosto bene con quella giallognola della lutescens.
Altra coppia di specie simili – ma per fortuna diverse dalle due precedenti, altrimenti sarebbe da manicomio: Filago minima (che negli ultimi anni ha ballato talmente tanti valzer, spostandosi tra Filago, Oglifa e Logfia, che ho smesso di tenermi aggiornato e deciso di continuare a chiamarla Filago) e Filago arvensis (rispettivamente, ‘bambagia minima’ e ‘bambagia campestre’).
Queste non hanno quell’aspetto ‘a candelabro’ così evidente delle due precedenti, e sono nel complesso più smilze e più bassette – benché talvolta esemplari eccezionalmente sviluppati possano raggiungere altezze insolite. Condividono però con esse il carattere pioniero, massimamente espresso da Filago minima, che è in grado di colonizzare senza timore distese di nuda sabbia, come nelle valli fluviali del Ticino e del Sesia o sugli ultimi lembi relitti di dune dell’entroterra ancora esistenti in Lomellina. È un elemento talmente caratteristico che dà perfino il nome a un tipo di associazione vegetale di prato arido silicicolo, il Filagini-Vulpietum.
Colonizzazione di Filago minima su sabbia in una prateria arida.
Quello che le accomuna tutte, come scrivevo più sopra, è la necessità di avere disponibilità di un substrato minerale, povero di nutrienti e anche ‘disturbato’, cioè che venga un po’ smosso di tanto in tanto. Le condizioni pioniere sono necessarie non solo perché le Filago sono adattate ad esse, ma anche perché condizioni generalmente più favorevoli portano all’arrivo di altre specie erbacee più competitive che possono facilmente soppiantarle. È quasi paradossale: specie rustiche e tenaci, capaci di colonizzare suoli proibitivi per quasi tutte le altre, vengono scacciate quando si formano le condizioni buone per specie più ‘mollaccione’ – specie che crescono nella bambagia.
Le ricerche sulla Filago lutescens in Gran Bretagna hanno dimostrato che proprio la progressiva scomparsa del disturbo meccanico del substrato ha causato la scomparsa anche della pianta, insieme anche al cambiamento delle pratiche colturali, che l’ha sloggiata dagli incolti. Negli anni Novanta risultava estinta in buona parte del suo areale britannico originario, ed è stata salvata in alcuni siti a costo di una discreta fatica, proprio reintroducendo le pratiche di disturbo del substrato che ne favoriscono la propagazione e l’insediamento. E questo può valere anche per le altre specie, meno rare ma ugualmente minacciate dalla scomparsa del loro habitat.
Le piantine dai riflessi argentati che spiccano nella striscia di ‘erbacce’ al centro della sterrata sono giovani Filago germanica; in questo sito si trovavano solo lì, nella situazione più disturbata, mentre erano assenti dall’incolto pieno di papaveri, probabilmente anche per la maggiore quantità di nutrienti presente lì.
Quindi, per salvaguardare queste specie allo stesso tempo tenaci ma sensibili, cosa bisogna fare?
Esatto, sempre la stessa cosa: salvaguardarne gli habitat.
Riferimenti bibliografici